lunedì 12 novembre 2012

Allen


                                    Alle volte Allen odiava l'estrema settorialità del suo lavoro.
Pensava di aver fatto un ottimo affare quando aveva accettato quell'incarico dal professor de Bernardi. Una cena pagata all'hotel Europa, un quattro stelle di periferia, ma pur sempre con un ottimo chef e un'interessante conferenza indetta dall'autore di uno di quei romanzi finto storici che tanto vanno di moda in questo periodo.
Allen era uno storico laureato da ben 4 anni eppure ancora faceva il passacarte del suo professore di storia contemporanea che gli aveva concesso quell'interessante opportunità. Il suo compito era quello di essere un esperto della materia; un recensore del Corriere gli aveva chiesto ragguagli su quanto fossero verosimili la storia e le fonti de “Il vaso di giada” il romanzo di Federico Fossa. In un eccesso di zelo, spinto in grande parte anche dalla sua curiosità innata, si era spinto a partecipare a quella serata poiché prima di conoscere il testo voleva conoscerne l'autore, fatto raro di per se nel caso di uno storico abituato a conoscere i testi e a dedurre gli autori da supposizioni e altri testi.
Era arrivato una ventina di minuti in anticipo, parcheggiando il suo motorino nel piazzale antistante il ristorante dell'albergo, tra una familiare e un taxi.
Salutata una cameriera molto carina e fattole l'occhiolino entrò nel salone principale.
Questo era in stile semplice, privo di orpelli e con una disposizione delle colonne interne e degli arredamenti più sobria di quello che ci si sarebbe aspettato comunemente in un hotel di lusso.
I tavoli, in legno pregiato con sedie imbottite erano disposti su tre semicirconferenze concentriche centrate intorno ad un tavolo di due metri, coperto da una tovaglia bianca su cui erano disposti due microfoni.
Erano presenti già altre persone, oltre al capo sala che all'entrata gli aveva richiesto il documento d'identità per accertare la sua prenotazione.
Vi era ovviamente l'autore del libro, un uomo sulla quarantina con capelli grigi tagliati corti, che discuteva con due giovani sbracciandosi e indicando con fare insistente un cartellone semi rigido posizionato dietro al tavolo principale. Il problema evidente di questa reclama, che mostrando in campo rosso la copertina del libro lo pubblicizzava, era un errore di stampa che storpiava il nome dello scrittore. Evidentemente non tutto era stato organizzato.
Antonio, il giornalista che doveva produrre la critica per il Corriere, sedeva ad uno dei tavolini centrali.
La sua figura era quella di un trentacinquenne con un'ampia barba rossiccia e una camicia a righine verticali rosa. Sembrava fuori posto in quel luogo d'alto livello, mentre sorseggiava una bevanda analcolica.
Con grande sorpresa di Allen, accanto al giornalista si trovava una delle figure da lui più odiate in tutta Italia.

Indossava un abito lungo da sera nero non molto ricercato. Uno spacco sulla coscia e un lieve decolette rivelavano un corpo tonico e abbronzato. Un'acconciatura semplice delineava i lineamenti affilati del viso, mentre una semplice collana con pendaglio raffigurante un sole atzeco.

Laura gli sorrise, solare, alzandosi dalla sedia e baciandolo sulle guance, con fare naturale.

“Allen, ma che piacere vederti qui, il Signor Vanardi mi aveva detto di aver assunto un valente storico come assistente, ma non pensavo si riferisse proprio a te... ne devi aver fatta di strada dall'ultima volta che ci siamo visti” Aggiunse con fare sarcastico.

“E tu cosa ci fai qui Laura?” Rispose scontroso Allen, ricambiando con freddezza il saluto, e dando poco peso alla donna la superò andando verso l'inviato del giornale.

“Buona sera signor Vanardi, spero che la serata si riveli proficua, è riuscito a raggiungere con comodità quest'albergo?”

“Allen buona sera! Sì, per fortuna ho incontrato la signorina Terenzi all'università, e ha avuto la gentilezza di accompagnarmi qui.” Il professore ci squadrò sottecchi per un attimo, poi notando la freddezza del mio sguardo ci graziò da domande indiscrete.

Continuammo a chiacchierare, dopo essersi seduti ad uno dei tavoli, osservando la fine della preparazione della conferenza. Lentamente la sala si riempì di altri giornalisti, professori ed estimatori dell'autore. Le luci diventarono più soffuse e i camerieri continuarono a servire aperitivi mentre Fossa cominciò a descrivere del suo libro.

mercoledì 7 novembre 2012

L'archeologo


Enrico Ridegaldi camminava lentamente attraverso le strade di San Giminiano della cascata, villaggio immerso tra le montagne abbruzzesi tutto casette, viottoli e chiesa.

Essendo mattina presto i maschi del luogo erano a lavorare nella foresta vicina e soltanto le vecchie comari osservavano il ragazzo. Le figlie in età di matrimonio erano rinchiuse in casa, poiché la presenza di Enrico, un adulto sconosciuto, era troppo pericoloso. L'unico uomo presente in città era il vecchio parroco, che in quel momento si trovava nella biblioteca della sua chiesupola a controllare vecchi resoconti notarili.
Indossava un lungo cappotto nero impolverato, e un vecchio cappello fuori moda copriva il giovane viso.
Osservava tranquillo le varie porte e viottoli della cittadina, fermandosi di quando in quando a disegnare su un taccuino uno dei vari simboli o glifi presenti sulle mura.
Si trattenne per ben dieci minuti di fronte ad un edificio signorile con balcone a ricopiare l'emblema falconesco della famiglia Trezino. possidenti della regione.

Era ormai quasi mezzogiorno quando Don Giuseppe uscì dalla sacrestia stropicciandosi gli occhi.
I pochi capelli sulla testa uscivano a ciuffi mai tenuti in maniera corretta, che sarebbero stati bianchi a causa dell'età, ma per fumo delle candele e degli incensi avevano sempre una tonalità rossiccio grigiastra. Vestito con la classica tunica nera il colore dimagrente per eccellenza a malapena riusciva a coprire la sua pancia prominente.
Avanzò tra le panche della sua chiesuola, un edificio del 1700 che tranne il crocifisso, aveva solamente qualche vecchia lapide di soldati morti ormai da tempo, alcuni dicono prima della sua fondazione, come elementi d'interesse.

“Messer Ridegaldi l'ho trovato!” Urlo con fare gioioso.

Il suo urlo fù ripetuto più volte, ma soltanto un eco stanco gli rispose.

Stizzito, incurante della calura, uscì dalla casa di Dio, lasciando le sue porte dischiuse.

Le vecchie comari videro quell'uomo, ormai non più nel fiore dei suoi anni, correre per l'intero paese alla ricerca dello sciagurato giovane.

“Messer Ridegaldi, finalmetne vi ho trovato” disse il prete ansimante, tenendo le mani sulle proprie ginocchia.
“Non le avevo detto” riprese il suo discorso appena il fiato non cercò più di fuggire dal suo stanco corpo “Di non allontanarsi dalle panchine quest'oggi? La sua venuta in questa città ha portato troppa novità, checchessiano le vostre credenziali”

Il giovane disattento al discorso, finì di dare gli ultimi colpi di matita al suo schizzo,controllando con cura alcune curve, prima di richiuderlo.

“Non si può aspettare Don, che io assecondi ogni giorno i suoi comodi” rispose girandosi.
“Mi ha già vietato, contro ogni buona grazia di accedere alla sua biblioteca, ma farmi ammuffire come una di quelle sue vecchie pagine ingiallite che chiama 'documenti' ” disse con tono sarcastico “Bhè lo rifiuto!”.
Detto questo voltò le spalle al vecchio e si diresse giù per la strada a passo spedito e concludendo il suo discorso disse “ Visto che è venuto a cercarmi, immagino abbia finito le sue ricerche.” Con tono più gentile “Venga con me, ne discuteremo a pranzo, so che la Giuditta oggi ha preparato uno dei suoi manicaretti con il colombo.

E Don Giuseppe, colpito nel suo vizio non poté che seguire il profumo immaginario dei colombi di Giuditta, e con passo spedito andare a rinchiudere nuovamente nella sua prigione l'acquolina che fin in gola gli era risalita.
L'ennesimo tentativo di portare qualcosa di me nel mare d'internet, e lasciare qualche piattaforma di ricerca.
Questa volta si scherza sulla serietà!