mercoledì 7 novembre 2012

L'archeologo


Enrico Ridegaldi camminava lentamente attraverso le strade di San Giminiano della cascata, villaggio immerso tra le montagne abbruzzesi tutto casette, viottoli e chiesa.

Essendo mattina presto i maschi del luogo erano a lavorare nella foresta vicina e soltanto le vecchie comari osservavano il ragazzo. Le figlie in età di matrimonio erano rinchiuse in casa, poiché la presenza di Enrico, un adulto sconosciuto, era troppo pericoloso. L'unico uomo presente in città era il vecchio parroco, che in quel momento si trovava nella biblioteca della sua chiesupola a controllare vecchi resoconti notarili.
Indossava un lungo cappotto nero impolverato, e un vecchio cappello fuori moda copriva il giovane viso.
Osservava tranquillo le varie porte e viottoli della cittadina, fermandosi di quando in quando a disegnare su un taccuino uno dei vari simboli o glifi presenti sulle mura.
Si trattenne per ben dieci minuti di fronte ad un edificio signorile con balcone a ricopiare l'emblema falconesco della famiglia Trezino. possidenti della regione.

Era ormai quasi mezzogiorno quando Don Giuseppe uscì dalla sacrestia stropicciandosi gli occhi.
I pochi capelli sulla testa uscivano a ciuffi mai tenuti in maniera corretta, che sarebbero stati bianchi a causa dell'età, ma per fumo delle candele e degli incensi avevano sempre una tonalità rossiccio grigiastra. Vestito con la classica tunica nera il colore dimagrente per eccellenza a malapena riusciva a coprire la sua pancia prominente.
Avanzò tra le panche della sua chiesuola, un edificio del 1700 che tranne il crocifisso, aveva solamente qualche vecchia lapide di soldati morti ormai da tempo, alcuni dicono prima della sua fondazione, come elementi d'interesse.

“Messer Ridegaldi l'ho trovato!” Urlo con fare gioioso.

Il suo urlo fù ripetuto più volte, ma soltanto un eco stanco gli rispose.

Stizzito, incurante della calura, uscì dalla casa di Dio, lasciando le sue porte dischiuse.

Le vecchie comari videro quell'uomo, ormai non più nel fiore dei suoi anni, correre per l'intero paese alla ricerca dello sciagurato giovane.

“Messer Ridegaldi, finalmetne vi ho trovato” disse il prete ansimante, tenendo le mani sulle proprie ginocchia.
“Non le avevo detto” riprese il suo discorso appena il fiato non cercò più di fuggire dal suo stanco corpo “Di non allontanarsi dalle panchine quest'oggi? La sua venuta in questa città ha portato troppa novità, checchessiano le vostre credenziali”

Il giovane disattento al discorso, finì di dare gli ultimi colpi di matita al suo schizzo,controllando con cura alcune curve, prima di richiuderlo.

“Non si può aspettare Don, che io assecondi ogni giorno i suoi comodi” rispose girandosi.
“Mi ha già vietato, contro ogni buona grazia di accedere alla sua biblioteca, ma farmi ammuffire come una di quelle sue vecchie pagine ingiallite che chiama 'documenti' ” disse con tono sarcastico “Bhè lo rifiuto!”.
Detto questo voltò le spalle al vecchio e si diresse giù per la strada a passo spedito e concludendo il suo discorso disse “ Visto che è venuto a cercarmi, immagino abbia finito le sue ricerche.” Con tono più gentile “Venga con me, ne discuteremo a pranzo, so che la Giuditta oggi ha preparato uno dei suoi manicaretti con il colombo.

E Don Giuseppe, colpito nel suo vizio non poté che seguire il profumo immaginario dei colombi di Giuditta, e con passo spedito andare a rinchiudere nuovamente nella sua prigione l'acquolina che fin in gola gli era risalita.

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